Andrea Pontremoli di Dallara: “Ma voi, cosa volete fare con la tecnologia?”

In questo episodio Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato e Socio di Dallara Automobili ci parla dell'importanza di mantenere collegato il fisico con il digitale e perchè bisognerebbe passare da una logica di Digital Twin a una logica di Digital Thread. Parleremo inoltre di una delle loro ultime sfide, quella della guida autonoma.

Di cosa parliamo in questo episodio ?

Introduzione

Buongiorno e benvenuti a Trasformazione Digitale Come il Digitale Trasforma il Fisico. Sono Francesca Frattini, Direttore Marketing di PTC e oggi abbiamo una nuova puntata speciale. Recentemente abbiamo fatto un evento presso il Museo Ferrari di Maranello e in quell’occasione abbiamo avuto la possibilità di ospitare vari relatori in una tavola rotonda, tra questi Andrea Pontremoli, CEO di Dallara Automobili. Chi ci segue ricorderà avviamo avuto ospite in un’altra puntata del podcast. Avevamo affrontato con lui del tema dell’integrazione dell’Intelligenza Digitale in un prodotto fisico. Avevamo, quindi, parlato di gestione del software, Agile manufacturing e della necessità di avere un sistema che consenta il dialogo tra i vari dipartimenti. In questo caso abbiamo parlato con lui dell'importanza di mantenere collegato il fisico con il digitale, direi che non è una sorpresa dato il titolo del podcast, e in particolare perché passare da una logica di Digital Twin ad una di Digital Thread.

Il secondo tema di cui abbiamo parlato con lui è stata l’ultima sfida quella della guida autonoma. Recentemente Dallara ha sviluppato delle auto a guida autonoma, è partita con la Indy Autonomous Challenge, per poi arrivare alla competizione che si è tenuta recentemente sul circuito di Yas Marina di Abu Dhabi il circuito di Formula Uno tra vetture a guide autonoma, anche con la partecipazione di un pilota e quindi la gara è stata tra guida autonoma e pilota reale.

Quindi ci ha raccontato gli esiti di questi esperimenti e soprattutto il perché stiano conducendo questi esperimenti sulla guida autonoma. Vi lascio quindi con la prima domanda sull'importanza di mantenere collegato la fisico con il digitale e ci risentiamo poi per la seconda.

Andrea Pontremoli: Io che vengo dal mondo del digitale, avendo lavorato 27 anni in IBM, ho fatto solo quello, quindi ho fatto solo bit e poi sono andato in un'azienda manifatturiera come Dallara che invece era puro hardware. Ecco, la cosa che secondo me è importante, che noi tutti portiamo a casa, è che non c'è più una divisione tra digitale e fisico, le due cose sono mischiate.

Noi siamo passati

  • dalla progettazione con il tecnigrafo a mettere un CAD
  • poi dal CAD, dal disegno abbiamo cominciato a capire che a quel disegno se ci attaccavi un part number diventava un modo per produrre,
  • se ci attaccavi un prezzo diventava uno strumento per vendere
  • e poi si è andati avanti fino a collegarlo a tutta un'altra area che è quella della simulazione.

Quindi abbiamo usato questi dati per provare a simulare la realtà e solo a questo punto, inizia la produzione.

Noi per fare una macchina da corsa abbiamo dei tempi super compressi e in circa nove mesi tiri fuori una macchina partendo da foglio bianco, ma di questi nove mesi otto sono in digitale e uno in produzione.

Ecco se questi otto mesi in digitale tu li fai solo puro digitale e non hai collegato l'hardware che andrai a produrre, ti perdi un sacco di informazioni durante questo passaggio. Devi essere sicuro che il prodotto fisico che vai a realizzare, abbia seguito tutto quello che avevi pensato nella logica digitale, per questo motivo devi avere tutta una parte anche di certificazione.

Noi adesso stiamo lavorando molto sull'aerospace and defense. Perché vi dico questo? Perché le cose che facciamo per le macchine da corsa, le facciamo anche nel mondo dell'aerospace, ma cambiano essenzialmente due cose:

  • Uno è il modello di business. Il modello di business di una macchina da corsa va da uno a tre anni. Il modello di business dell'aerospace and defense va da dieci a vent'anni.
  • La seconda cosa è che quando tu fai un incidente con una macchina, hai un problema, vai a vedere cosa è successo alla macchina, quindi analizzi il prodotto. Quando succede un incidente su un aereo, il prodotto non c'è più. Analizzi il disastro solo sulla carta e se tu hai sostituito la carta con il digitale, l'analizzi solo sul digitale. Ecco, aver fatto questo passaggio ci ha aiutato a digitalizzare anche l'hardware.

Sensorizzare l’hardware

Quindi, perché noi andiamo a sensorizzare tutti i prodotti hardware? Per due motivi:

  • Uno, per garantire che quello che io avevo pensato, poi in realtà l'ho realizzato.
  • Ma il secondo (che è forse ancora più importante) è che mi serve il dato reale. Come direbbe Catalano, la realtà è realtà, e non è simulata, è realtà. Il dato reale è importantissimo perché mi serve per correlare quello che io avevo pensato in digitale.

Se io non ho questo link, fai tutta la tua intelligenza artificiale il discorso di generative e AI eccetera che poi però non ha nessun collegamento con la tua realtà di produzione, è troppo distante.

Bit e Atomi

Quindi bisogna tener collegati il fisico col digitale. A questo proposito, visto che parlavamo prima di Boston, ho parlato con un un amico con cui ho lavorato per tanti anni quando ero in IBM che si chiamava Nicholas Negroponte.

Lui era stato un preveggente di questa cosa, era il direttore dell'MIT Lab e ha scritto un bellissimo libro che si chiama Essere Digitali, e parlava di bit, (che è l'elemento singolo più piccolo del digitale), e di atomi (che sono gli elementi più piccoli del fisico) e diceva che queste due cose bisogna sempre tenerle insieme.

Aveva fatto degli esempi che rendevano immediatamente chiara la realtà. Mi aveva fatto un esempio che mi è rimasto in testa e che ve lo ripeto e dice: Prendiamo un giornale (contate che questo libro mi sembra sia di inizi 2000, quindi stiamo parlando di quasi 25 anni fa): un giornale è fatto da notizie che arrivano da carta e da una stampa.

Lui pensava che bit e atomi si possono aggregare e disgregare in modo molto sincrono. Contate che fino allora i giornali come il Corriere della Sera, lo stampavi in via Solferino, poi lo stampavi a Roma e lo stampavi in Sicilia, poi partivano i camion che andavano in giro a portare la carta stampata.

Lui dice: ma se io comincio a separare queste due cose e considero l'informazione come bit, e la faccio viaggiare come bit, considero la carta come atomi e la uso come atomi. Se tengo gli atomi fermi e faccio spostare i bit, tu ti puoi stampare il giornale con le ultime notizie direttamente da dove sei: a Ragusa se sei a Ragusa, a Enna se sei a Enna, in Puglia se sei in Puglia.

Ecco, pensate a questa cosa, quante volte noi facciamo l'errore di tenere sempre i bit e gli atomi insieme come sono stati creati? La stampa 3D questa cosa l’ha resa subito evidente: io gli atomi li tengo in un posto, in uno scatolone e mando i bit che danno la forma, la consistenza per realizzare il prodotto hardware. Ecco, questo processo ormai è vero per tutto.

Il Digital Twin è unidirezionale, il Digital Thread è bidirezionale

Anche se io realizzo una sospensione o una monoscocca con una macchina utensile a valle, io ho sempre trasferito dei bit che trasformano degli atomi. E quindi il discorso del Digital Twin è fondamentale perché è la parte del pensiero con cui io sono partito, ma è fondamentale tenerla sempre collegata all'atomo, a quello che io vado a realizzare, avendo questo link sia in andata che in ritorno. La differenza che io vedo tra Digital Twin e Digital Thread è che Digital Twin è solo in una direzione, mentre il Digital Thread ha tutte le due direzioni. Questa è la chiave secondo me, perché noi che lavoriamo col Digital Twin facendogli fare di tutto, cioè la simulazione di quella che poi sarà la realtà, se quella realtà poi non la collego a quello che avevo pensato, ho realizzato un prodotto a cui dovrò fare il debug sul prodotto fisico, senza migliorare quello che è il mio processo a monte di pensiero.

È un discorso abbastanza semplice: noi siamo abituati a considerare digitale e fisico in modo separato, invece dovremmo considerare che queste cose le posso aggregare e disgregare. Il disegno può essere solo digitale se lo vedo a schermo, se lo stampo diventa fisico, ma è lo stesso un prodotto. La sospensione la vedo in digitale a schermo, la stampo con una stampa 3D oppure con una macchina a controllo numerico e diventa fisico, ma quel fisico deve avere il link con la parte virtuale. Se non ho questo “avanti e indietro” rischio di perdermi tantissima della potenzialità che ti dà il digitale. Il digitale è un modo di pensare, non è una tecnologia.

Francesca Frattini: Ecco proprio legato a questo concetto che il Digitale è un modo di pensare e non è una tecnologia, c'è la domanda successiva che gli abbiamo fatto sulla guida autonoma, perché è esattamente da questo concetto che è partita l'idea della guida autonoma. Da questo concetto è anche un po’ dal titolo di questo episodio: “ma se voi già avete la tecnologia per fare quello che volete, in realtà che cosa volete fare?” Ecco la risposta di Andrea Pontremoli

Andrea Pontremoli: Qui nella MotorValley siamo proprio bravi eh! Perché noi facciamo dei prodotti che sono perfettamente inutili, ma molto costosi! Se voi ci pensate, non è che ti serve la Urus o la Ferrari 812, però la faccio pagare cara.

L'innovazione sta andando verso un'altra logica che è quella dell'open innovation, cioè non è solo l'innovazione mia, ma l'innovazione di chi lavora con me e che può essere la PTC, perché mi fornisce gli strumenti per essere innovativo, ma può essere anche il mio fornitore. Vi condivido anche questo pensiero: quando io vedo tutte queste belle presentazioni sul software, eccetera, ci sentiamo un po' inadeguati. Cioè, tutti noi ci usiamo tutti questi termini, PLM, ALM, CRM, ERP, eccetera e io quando sono andato in IBM mio padre mi ha detto: “Ma dove vai nell'industria bottoni Milano?” Perché il computer aveva tanti bottoni allora.

Tutti questi acronimi sono dei modi di comunicare per rendere più efficiente la comunicazione ma per renderla anche esclusiva, cioè la capiscono solo quelli di quella roba lì. E tutti noi siamo un po' uncomfortable. L'open innovation ci fa fare un salto mentale che secondo me è molto importante e arrivo quindi alla guida autonoma.

Qualsiasi cosa facciamo, una nave, un treno, una macchina da corsa, una macchina super lussuosa, cosa faccio? Ho un'idea progettuale, poi comincio ad andare in giro e capire quali sono le tecnologie che mi possono aiutare a fare quello che io voglio fare. Cerco la PTC, è valido se fanno questo, fanno quest'altro… Poi cerco dei fornitori che siano in grado di rispondere a qualcos’ altro…

Alla fine, quando poi faccio il mio prodotto, scopro che non avevo visto che c'era una nuova tecnologia emergente che mi son perso. Oggi abbiamo tante start-up… si contano a migliaia.

Questo metodo ha due presupposti che non son veri:

  • devo avere un sacco di tempo per andare a vedere tutta sta roba qua e
  • seconda cosa devo capire in maniera approfondita cosa fanno.

Ma se io voglio andare in maniera approfondita, mi mangio il tempo e il tempo di vedere così tanta roba non ce l'ho.

Che cosa volete fare con la tecnologia?

Quindi vi chiedo di rispondere a una domanda difficile, provate ad assumere per un attimo che la tecnologia per fare quello che volete fare ci sia, la domanda è: Che cosa volete fare?

E poi andate da quelli che hanno la tecnologia e dite: “Io voglio fare questa roba!”. Lasciate il problema a chi la tecnologia la conosce.

Ho fatto questo speech tre anni fa, mi sembrava di fare una cosa intelligente, poi alza la mano uno del pubblico e dice: “E voi che fate macchine da corsa, che cosa volete fare?” A questo punto nasce quest'idea di dire: “Io penso alla guida autonoma”.

Voi provate a pensare alla guida autonoma: sono 15 anni che ci si lavora in maniera pesante, sono state spese decine di miliardi di dollari. Ci hanno lavorato le aziende più grandi al mondo, Apple, Google, Tesla e tutta questa gente qui e guardate dove le grandi aziende sono arrivate ad oggi dopo decine di miliardi e 15 anni.

Sono arrivate a più o meno tre robe:

  • Un'auto che si parcheggia da sola.
  • Un'auto che ti impedisce di tamponare quello davanti, un bel vantaggio
  • e poi un'auto che più o meno ti tiene la linea in autostrada.

 

Le macchine sapranno prendersi un rischio?

Un po' poco, no? Decine di miliardi, quindici anni... Allora dico, io sogno di avere un'auto da corsa, guidata in maniera autonoma, con tutta l'intelligenza a bordo, senza nessuno da fuori (quindi non teleguidata), che possa correre nel circuito più veloce al mondo: Indianapolis, e che faccia una cosa che, io che ho programmato per anni, è un assurdo: che possa sorpassare un'altra auto a guida autonoma. Quindi sto chiedendo al computer di fare una cosa tipicamente umana, che è quella di prendersi un rischio.

Perché se avessimo preso tutti gli stessi parametri eccetera, andremo tutti alla stessa velocità, giusto? E quindi se decido di sorpassare vuol dire che vario un parametro e mi prendo un rischio in più dell'altro. È una sfida mentale non banale. E questa cosa come l'abbiamo resa possibile?

Abbiamo fatto una scommessa che si chiamava Indy Autonomous Challenge. Abbiamo messo in palio un milione di dollari e abbiamo detto: chi riesce a fare sta roba qua, gli diamo un milione di dollari. Non abbiamo detto niente, neanche in azienda: 37 università da tutto il mondo dall'America a Stanford, Berkeley, MIT, a Seul, Germania, Italia…

Bellissimo, 37 università! Abbiamo dato il nostro modello matematico dell'auto, una macchina normale, l'auto che corre a Indianapolis, quindi macchina a combustione normalissima. L'abbiamo sensorizzata, con radar, lidar, sensori, GPS, cioè tutto quello che il computer “vede e sente”, e poi gli abbiamo messo quattro attuatori:

  • uno che gira lo sterzo,
  • uno che accelera,
  • uno che frena,
  • uno che cambia le marce.

Abbiamo detto: “Questa è la macchina, voi non potete cambiare niente, questo è il modello matematico della macchina, adesso ci fate il cervello. Avete un anno di tempo”.

Prima abbiamo fatto una gara digitale il 30 di maggio 2023, giorno della 500 miglia di Indianapolis vera. Quindi tanto che c'era la gara vera, abbiamo fatto quella virtuale e ha vinto il Politecnico di Milano.

Il primo di giugno gli ho tolto la macchina vera (l’auto base) e gli ho dato la macchina reale, quindi la logica dice il modello matematico era uguale, metti su l'intelligenza artificiale dovrebbe essere uguale…

La cosa interessante che hanno fatto l'università, e che mi piacerebbe vedere nelle aziende cosa che gli americani chiamano partnership, le università hanno capito dove erano bravi gli altri e dove erano scarsi loro e quindi si sono aggregati: da 37 università sono usciti 10 team e quindi io ho dato 10 macchine.

L'ingegner Dallara mi ha detto: “Sei diventato matto? Noi buttiamo via i soldi…” e tutte queste cose qua…

Però è successa una cosa interessante: sono arrivati Cisco, è arrivata la Microsoft, è arrivato Luminar, tutta una serie di aziende che interessate a vedere questa cosa ci hanno detto che avrebbero finanziato e quindi ci hanno pagato le macchine. Hanno anche pagato il milione di dollari di premio e ci hanno pagato tutti gli incidenti (che vi assicuro sono tanti).

Perché se tu prendi il rischio e toppi, picchi contro il muro e Pontremoli fattura. Questa era la regola di business, per tornare al discorso dei ricavi coi bit di prima.

Ecco questa cosa è stata molto interessante perché non siamo riusciti a fare il sorpasso famoso, solo tre team su dieci sono riusciti a fare l'algoritmo del sorpasso e quindi abbiamo fatto solo la macchina più veloce.

Auto a guida autonoma che si sorpassano

Era presente però il Presidente del CES di Las Vegas (che è la più grande mostra di auto del mondo perché lì, andate a vedere, ci sono tutti i più grandi brand di auto del mondo) e a ottobre ci ha detto: “Se voi mi garantite che il 7 di gennaio, che c'è il CES, siete in grado di sorpassare, pago tutto io”. Noi abbiamo risposto: “Certo che siamo in grado!”.

I tre team che ce l'hanno fatta hanno condiviso il know-how, quindi i tre team hanno dato i loro modelli agli altri per permettere anche agli altri di poter competere.

Abbiamo fatto la gara poi a Las Vegas, vince il Politecnico di Milano. In quell’occasione erano presenti dei rappresentanti degli Emirati Arabi che nel frattempo avevano finanziato un team, quello dell'Università di Modena, e dicono: “Se voi ci costruite una macchina per correre, non nel circuito più veloce al mondo che è un ovale, ma nel circuito di Yas Marina di Formula 1 ad Abu Dhabi, noi vi finanziamo tutto il progetto”.

Quindi gli abbiamo fatto 20 macchine e tre settimane fa, devo dire che mi viene ancora la pelle d'oca.

Per la prima volta ho visto non più solo la gara tra auto a guida autonoma: quella devo dire che l'han fatta male, perché hanno messo delle regole umane a dei computer, cioè se una macchina fa un incidente c'è la bandiera gialla, quando c'è la bandiera gialla non puoi sorpassare. Questa è la regola umana che abbiamo nella Formula 1.

Quindi cosa è successo? Un'auto, quella del Politecnico di Milano, è uscita e si è fermata. Quindi tutte le auto a sto punto hanno rallentato, non potevano più sorpassare ma quando sono arrivati alla macchina del Politecnico di Milano, siccome non potevano sorpassare si sono fermati tutti. Un pilota questa cosa non l'avrebbe mai fatta.

Però abbiamo fatto una gara molto interessante che è stata con un pilota vero, un pilota Formula 1, Daniel Kiviat, che ha gareggiato contro la macchina a guida autonoma. Stessa macchina, la Super Formula che fa Dallara per il campionato giapponese. Ha vinto l'umano, ma ha vinto di 9 secondi. Secondo me, in un anno, l'intelligenza artificiale lo prende, anche perché aveva due grandi handicap:

  • Il primo è che per regola non poteva prendere i cordoli, quindi doveva stare a 10 cm dal cordolo mentre il pilota li prendeva, e sono 4 secondi a giro.
  • Il secondo è che l'intelligenza artificiale pesava 90 kg mentre invece il pilota pesava 70 kg.

Quindi adesso stiamo già lavorando per preparare la prossima sfida.

Auto a Guida Autonoma: gare per la sicurezza

Vi chiederete ma che emozione c’è a vedere delle gare a guida autonoma?

Questo ci serve non per fare delle gare a guida autonoma, ma per trovare le tecnologie per rendere più sicure le auto emozionali. Perché oggi tutti gli strumenti di sicurezza dell'auto sono tutti reattivi, cioè l'ABS entra perché freno tardi, l'ISP entra perché accelero troppo presto, quindi sono in reazione a un errore.

Qui invece sono predittivi, ti metto quello che io chiamerei Driver Angel che valuta: se tu con la tua macchina super sportiva, non sei capace di guidare come me, stai andando troppo veloce e quella curva non la farai, perciò ti ferma prima.

Quindi capite, non mi serve per fare la gara, ma mi serve per trovare gli strumenti per rendere più sicuro un prodotto emozionale e renderlo disponibile al pubblico. Perché sono sicuro che se vi diamo in mano una Lamborghini Aventador vi fa paura! Voi non proverete emozione, ma proverete paura e capirete che quel mezzo è troppo rispetto alla vostra capacità. Ma se io ti do questi strumenti che ti rendono sicuro (strumenti digitali predittivi) ti permetteranno di godere pian piano l'emozione di imparare a guidare un mostro di questo tipo ecco, vi ho fatto tutto questo circolo perché ritorno alla domanda iniziale: “Ma se la tecnologia per fare quello che volete fare ve la dà PTC, voi che cosa volete fare?”

Non potevamo che lasciarci sulla domanda di Andrea Pontremoli. Questo era trasformazione digitale. Sono Francesca Frattini e ci ascoltiamo alla prossima puntata. Intanto continuate a chiedervi: “ma se la tecnologia per fare quello che volete fare esiste già, voi che cosa volete fare?”. Se volete, lasciatemi una risposta: contattatemi via linkedin o lasciate un commento sotto il podcast sulla vostra piattaforma preferita. Intanto ci ascoltiamo alla prossima puntata di trasformazione digitale a presto

L'ospite dell'episodio

Andrea Pontremoli - Amministratore Delegato e Socio di Dallara Automobili

Andrea Pontremoli è Amministratore Delegato e Socio di Dallara Automobili dal 2007. Entrato in IBM nel 1980 come semplice tecnico di manutenzione percorre la carriera professionale fino ad essere nominato nel 2004 Presidente e Amministratore Delegato IBM Italia. Dal 2017 è Presidente di Motorvehicle University of Emilia-Romagna (MUNER), un'associazione fortemente promossa dalla Regione Emilia-Romagna, creata grazie ad una connessione sinergica tra università e le aziende della Motor Valley italiana.

Dallara è leader nella progettazione e produzione di telai per auto da corsa, presente nel campionato Formula 3 e fornitore unico per IndyCar, Indy Lights, GP2, GP3, Formula Renault 3.5 e Super Formula; nonché consulente per importanti costruttori. Nel 2017 ha presentato la sua prima vettura di serie, la Dallara Stradale. Dallara ha 2 sedi: la principale a Varano de’ Melegari, in provincia di Parma, la seconda a Indianapolis, inaugurata nel 2012.

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Ulteriori risorse

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In questo episodio Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato e Socio di Dallara Automobili ci parla di come l’approccio Agile applicato al manufacturing nel motorsport e nell’automotive consente al digitale di creare il fisico, inventando quando serve nuovi materiali e soluzioni per risolvere una esigenza di prodotto.

Podcast: Trasformazione digitale - Come il Digitale trasforma il Fisico

Una serie di podcast bisettimanali che offre agli ascoltatori un'esperienza coinvolgente su come potenziare il settore manufatturiero attraverso la lente delle nuove tecnologie.